Viaggio fra gli Autori emergenti: Episodio 2- Manuale di fisica e buone maniere di Daniele Germani



Bentornati all'appuntamento con le Astronavi alla ricerca di Autori emergenti! Questo secondo episodio sarà dedicato a Daniele Germani e al suo Manuale di fisica e buone maniere, edito da David and Matthaus.
Mi sono imbattuta in questo titolo per caso. Un' amica ne parlava entusiasta in un post sul suo profilo facebook. Io il post nemmeno l'ho letto, a dir la verità, sono rimasta folgorata dal titolo così ho cercato su Google, ho letto la sinossi e, nel giro di un quarto d'ora, avevo già ordinato il libro su Amazon. 
Non mi piace leggere troppe opinioni quando si tratta di libri. In genere mi attrae la trama, deve accendersi un qualche tipo di alchimia. Con questo libro è bastato il titolo. Io lo trovo geniale, affascinante, curioso e per nulla banale. Comunque, bando alle ciance ed andiamo con ordine, perchè ho molte cose da dire e un'intervista bellissima con l'Autore da proporvi.

Sinossi:

"Manuale di fisica e buone maniere" è il racconto di occasioni perdute. Il romanzo descrive il complesso rapporto sentimentale ed emotivo fra due studenti italiani, attingendo dal linguaggio e dalle teorie della fisica, mescolando scienza e letteratura. Lui è un assassino di gatti con problemi relazionali al limite della psicosi; lei è una futura astrofisica di successo segnata da un passato tragico. Entrambi vivono con disagio l'esistenza sul nostro pianeta. A far da cornice alla loro storia, una Londra polverosa e poco accogliente, dove si rifugeranno per scappare dal loro passato.

Recensione:

Daniele Germani ci racconta, in questo libro, due storie, anzi la stessa storia sotto due punti di vista: quello di Lei e quello di Lui. Non ci sono nomi nel romanzo. Dall'inizio alla fine non conoscerete mai un solo nome dei personaggi e, a dirvela tutta, sarebbe totalmente inutile conoscerli nell'economia del racconto e di ciò che l'Autore vuole trasmettere. 
La prima che ci viene presentata è Lei, una bimba serena, con tante domande nella testa, più grande della sua età e con passioni molto particolari come l'astrofisica. Un personaggio, Lei, per il quale ho sentito subito istintiva empatia, tenerezza.
Dopo pochissime pagine, entra in scena Lui e l'Autore non fa nulla per rendercelo simpatico. 
Un ragazzino assente, anaffettivo, che uccide il gattino che gli hanno regalato i genitori per provare la sua teoria sul paradosso del gatto di Schrödinger.
La sua freddezza di fronte all'atto che aveva compiuto e l'altrettanta freddezza con cui mette fine ai suoi rapporti emotivi con la famiglia, a causa della loro reazione di fronte all'assassinio del gatto, mi hanno cucito addosso un senso di disagio forte nei confronti di questo personaggio, disagio che mi ha accompagnata durante tutta la lettura del libro. 
Lui è indecifrabile, è una personalità al limite dello psicotico, non riesce ad essere empatico, non riesce ad far prevalere la parte fatta di pelle, sangue e dolore che è in lui, ma coltiva unicamente quella cerebrale, fatta di studi sulla fisica e un'infarinatura di astrofisica. Questo gli garantisce di non soffrire, di piegare tutto alle leggi fisiche e matematiche ma, di fatto, gli impedisce di vivere davvero. 
Lui e Lei si incontrano all'università: Lui ne rimane incuriosito quando scopre che lei studia astrofisica, Lei se ne innamora e cerca, come spesso si fa quando si ama qualcuno che ha problemi a relazionarsi, di buttare giù quella barriera dietro cui Lui si nasconde. 
Un giorno accade qualcosa fra loro, qualcosa che sconvolgerà la meccanica, asettica e ripetitva quotidianità del nostro e lo spingerà, forse per la prima volta, a farsi delle domande, ad interrogarsi su di sè e su ciò che davvero vuole nella vita. E così Lui molla tutto, fondamentalmente scappa, e va a Londra. 

"L'illuminazione giunse immediata ed inaspettata. Cambiare non era dimenticare, ma modellare"  

Attraverso gli occhi di Lui vediamo Londra come una città polverosa, pericolosa, piena di opportunità ma, al contempo, pronta a distruggere ogni speranza, a risucchiarti nell'oblio. Ovviamente, non vi dirò nulla di ciò che accadrà al personaggio durante la sua permanenza nella capitale inglese, ma posso dirvi che è un susseguirsi di emozioni, per lo più negative, per lo più dolorose, di quelle che colpiscono allo stomaco, di quelle che ti verrebbe voglia di urlare di tutto a quella figura che ti sei creata nella testa e che per te rappresenta Lui. Lui fa incazzare, sappiatelo, quasi sempre, quasi per tutto il romanzo. Eppure, ci sono stati momenti in cui avrei voluto abbracciarlo, avrei voluto dirgli che è normale avere paura, momenti in cui avrei voluto dirgli che quell'accenno di metamorfosi che stava compiendo, prima del secondo colpo di scena, lo stava rendendo più umano, quasi simpatico, quasi sopportabile ad un cuore istintivo come il mio. 
I personaggi che ruotano intorno a Lui nel suo cercarsi a Londra, lo spingono costantemente alla metamorfosi, al prendere contatto con il suo intimo, con il suo mondo interno, con la sua capacità di essere "umano". Lo spingono ad entrare in contatto con tutto ciò da cui è sempre scappato. 
La ragazza con i capelli ricci, il padrone del laboratorio, il direttore dell'ospedale, tutti i comprimari cercano di svegliarlo dal suo torpore, in un modo o nell'altro, cercano di spiegargli che la vita è fatta per lo più di scelte e di libero arbitrio.

"Sosteneva che la consapevolezza dell'intera umanità fosse nascosta dentro di noi e che il non parlare, il non comunicare, l'isolarsi dal mondo, quello sì che erano veri crimini; la scienza, al religione e i libri erano molto importanti, ma senza un'anima "colta", che fosse pronta a ricevere prima di dare, nessuna vera informazione, dottrina o filosofia sarebbe davvero compresa e tutti gli sforzi di apprendimentio darebbero risultati inutili, semplici scatti mentali di uno sviluppo meccanico".

E Lei? Lei aleggia come una presenza/assenza per buona parte del romanzo e il lettore è così preso a seguire le vicende di Lui e ad arrabbiarsi con lui che quasi se la dimentica, o insomma, la rilega a comparsa. Finchè a metà del libro Lei riappare prepotentemente e la luce torna nel cuore del lettore, tornano l'umanità, la bellezza dei sentimenti, la paura, l'angoscia, la speranza e l'amore. Lei è viva,  è reale e non si può non amarla. Lei torna solo per trovare lui, per capire, per dare una svolta alle loro vite, per lenire quel tormento che l'accompagna da quando Lui, senza volerlo minimamente, ha sciolto lo strato di ghiaccio dal cuore di questa giovane donna che troppe ne aveva già viste e patite. Lei ci va stretta in questo mondo, Lei ne ha paura ma lo affronta, Lei è disposta ad accettare il cambiamento. Lei è noi, ciascuno di noi è un pò di Lei.

"Lo sapevi che "amore" è una parola senza sinonimi? È sola, in questo fiume di parole che rompono questo silenzio tanto declamato. È una parola silenziosa, amore, che si proclama senza emettere suoni. La si può pronunciare anche solo sfiorando gli occhi di chi è davanti a te. Ed è proprio quando si tenta di urlarla che si pecca di saccenteria.
Amami adesso, nell'errore, mentre cammino in bilico su questa fune che ci unisce e della quale non vedo la fine, amami adesso o cadrò. Prendimi per mano, mentre vago in compagnia di questa folla senza volto, o mi perderò. Fammi sentire il tuo respiro, in questo vagone pieno di fumo, o soffocherò. Amami ora, nell'errore, proprio adesso che ho più bisogno di te".

"Ho paura di scoprire che non siamo altro che due mondi destinati ad orbitare lontani e contraddittori, Nient'altro che due pianeti extrasolari, senza la loro stella di riferimento. Due pietre che continueranno ad allontanarsi l'una dall'altra, trascinate dalla rassucurante certezza di dimenticarsi".

 
L'Autore in questo è geniale perchè quando ci racconta di Lui scrive in terza persona e quando ci racconta di Lei scrive in prima persona. Questo amplifica tutte le sensazioni di Lei, rendendola ancor più umana e attaccata alla pelle di chi legge e alimenta il naturale disturbo che la personalità di Lui provoca, facendo sì che non si simpatizzi mai davvero con questo personaggio. 
In questo modo Daniele Germani, forse, ci indica il suo messaggio e cioè che la vita è una scelta continua, che non può essere vissuta anestetizzandoci, che anche quando incontriamo difficoltà e periodi difficili non possiamo adagiarci al destino, al fatto che doveva andare così, ma che possiamo fare scelte, che le occasioni mancate devono essere ridotte al minimo. Di fronte al quotidiano, di fronte alla malattia, di fronte alla tragedia, di fronte a famiglie assenti ma ingombranti, come nel caso dei due protagonisti, e anche di fronte alla morte, dobbiamo crescere ed alimentare noi stessi e la nostra anima. 
Sul finale non dico nulla, se non che ho dovuto lasciar decantare le emozioni qualche giorno prima di essere sufficientemente lucida per scrivere questa recensione.  
La scrittura di Germani è coinvolgente, scorrevole, accattivante. Non ti stacchi dal libro, una volta che lo inizi, è come un incantesimo. Ho letto che alcuni lo hanno trovato troppo breve: no, è perfetto. Perchè è talmente intenso e pieno di emozioni contrastanti e difficili che ti senti esplodere per quasi tutto il tempo. Non li rimpiangi Lei e Lui alla fine del libro perchè, in realtà, scopri che sono dentro di te, sono entrambi sfumature di ciascuno di noi. Lui ciò che nessuno di noi vorrebbe essere, Lei ciò che forse vorremmo essere, o che magari, in parte o in tutto, siamo già.
Manuale di fisica e buone maniere è un libro sulle occasioni perdute ma è anche un libro sull'importanza di vivere e non di lasciarsi vivere.

Intervista con Daniele Germani:

Aspettando le Astronavi: Ciao Daniele, benvenuto su Aspettando le Astronavi e grazie per il tempo che hai deciso di concedere a questa intervista!

Daniele Germani: Ciao Maria Grazia, beh, grazie a te e allo spazio e al tempo che hai deciso di dedicare al mio romanzo. Inoltre Aspettando le Astronavi è un blog di altissima qualità. E' un onore per me essere presente.

A: Iniziamo da te… Chi è Daniele Germani? Come ti descriveresti?

D: Iniziamo con le domande difficili. Non lo so chi sono, in effetti. Parto dai punti fermi della mia vita, allora. Sono un neo papà. Da qui parte tutto il resto e questo l'ho scoperto quando l'anno scorso è nata mia figlia, Nikita, che ora ha quasi 8 mesi. Quando nasce un figlio, l'essere scrittori, lavoratori e tutto il resto passa in secondo piano, forse in terzo, tutto diventa subordinato a quella creatura che hai messo al mondo ed è meraviglioso. Finalmente tutto quadra e alla vita si dà finalmente una spiegazione. Non è più vero che nulla non abbia un senso.
Oltre alla mia famiglia,  posso dirti quello che ero, perchè quello che sono o che sarò non l'ho ancora ben chiaro. Ero un viaggiatore e uno che viveva molto alla giornata. Negli ultimi otto anni ho vissuto in molti luoghi, in Spagna, Irlanda, Gran Bretagna e in ognuno di questi luoghi ho avuto esperienze uniche, più o meno positive, ma che hanno contribuito a formare quello che sono ora.
Ti ho detto che lo ero ma spero che, non appena la bambina sarà più grande, potrò di nuovo tornare ad esserlo. Il mio sogno, condiviso da mia moglie Marianna, è prendere un camper e girare il mondo, partendo dall'Asia, scendendo nelle Americhe e arrivare fino al Polo Sud. 
Poi magari potremo anche fermarci un pò. Forse rimarrà un sogno, ma prima di fare un viaggio si deve immaginare, desiderare, sapere che avverrà, che poi è quello che accade nello scrivere un libro.

A: Qual è il tuo libro preferito?

D: Altra bella domanda. Difficile sceglierne uno solo. A volte i libri preferiti non sono i più belli che si siano mai letti. Posso dirti che un libro che mi ha cambiato la vita, perchè letto in un momento davvero particolare, è stato “Non buttiamoci giù” di Nick Hornby. Nel mio piccolo l'ho anche omaggiato nel Manuale, dove, durante la narrazione, il protagonista ha a che fare con il "Palazzo dei suicidi" a Londra, che è un luogo realmente esistente. Ripeto, di certo non sarà un capolavoro della letteratura, ma ha cambiato la mia visione delle cose in un periodo difficile della mia vita. Dopo la lettura, infatti, ho deciso di partire e lasciare l' Italia. 
Per quanto riguarda invece gli autori assoluti, che amo particolarmente, posso dirti Kafka, in particolare “Il processo” e quasi tutto di Josè Saramago. Anche questi sono titoli che hanno contribuito a cambiare la mia visione delle cose e del concetto di arte. Soprattutto Saramago con “Cecità”, una vera rivoluzione nel campo della letteratura.

A: Che musica ascolti?

D: Questa è una domanda molto importante. Mi piace molto la musica italiana, Daniele Silvestri, Francesco De Gregori, Vasco prima maniera (non più del 1996), Fabrizio Moro. Ora che vivo a Genova aggiungo anche Fabrizio De Andrè. Amo anche il rock degli AC-DC, Iron Maiden, Dire Straits. Però per scrivere ho bisogno assoluto di musica senza parole, altrimenti mi distraggo troppo. Il Manuale è stato scritto, dalla prima all' ultima parola, con il pianoforte di Ludovico Einaudi nelle orecchie e direi anche nelle dita. La sua musica è stata davvero ispiratrice. Mi spiace non averlo potuto incontrare a Genova lo scorso dicembre. I biglietti del concerto erano finiti e scrissi al suo ufficio stampa per avere la possibilità di incontrarlo, anche solo 5 minuti prima o dopo, per poterlo omaggiare del mio romanzo. Forse credevano che mi volessi “imbucare” al concerto e l' incontro non è stato possibile; alla fine gliel'ho spedito. Spero abbia gradito.

A: Impossibile non abbia gradito, a mio modesto avviso.

A: Manuale di fisica e buone maniere è il tuo romanzo d’esordio?

D: Si, è il primo romanzo che pubblico. Ne avevo scritto un altro, ma era davvero poco “spendibile” sul mercato. Me ne sono reso conto solo anni dopo, mentre, al momento, credevo di aver scritto un capolavoro. Il Manuale è il primo e chissà, magari, l' ultimo. Vedremo.

A: Sono sempre curiosa di sapere che tempi di gestazione hanno i romanzi. Quanto tempo hai impiegato a scrivere il tuo romanzo?

D: La gestazione del Manuale è stata molto rapida. Ho iniziato a scriverlo i primi giorni di agosto 2014 e l'ho terminato, in prima stesura, dopo un mese circa. Nel frattempo, ho avuto anche un piccolo incidente: sono epilettico e ho avuto una crisi in metro con una ferita che mi ha tenuto fermo quasi 15 giorni. Avevo iniziato molto bene e credevo che non avrei più ripreso a scrivere ed invece ce l'ho fatta. 
Il Manuale è stato più volte corretto. Direi che per arrivare alla sua forma finale, quella che leggete oggi, in totale ci avrò lavorato circa due mesi, ovviamente non consecutivi. Fondamentale è stato l' apporto del mio agente Andrea Carnevale; mi ha aiutato nella correzione e nella quadratura del cerchio.

A: Ti sei ispirato a qualche persona reale per la caratterizzazione dei tuoi personaggi sia primari che comprimari?

D: No, ho cercato di mantenere fuori dalla caratterizzazione amici e conoscenti, o altri personaggi più o meno conosciuti. E' proprio il caso di dire che qualsiasi riferimento a persone è puramente e decisamente casuale.

A: Immagino che di autobiografico non ci sia nulla nella storia di Lei e di Lui. Però una cosa mi ha colpita: la tua scelta di narrare la storia di Lei in prima persona e quella di Lui in terza. Come a voler prendere un pò le distanze da Lui, o per tenere il lettore  "in sicurezza” dal tuo personaggio. Perché questa scelta di narrare le due storie in modo così diverso?

D: Immagini bene. Non c'è nulla di autobiografico che non sia funzionale alla trama. Alcuni eventi o atteggiamenti sono stati attinti dalla mia esperienza, ma io non sono nè un astrofisico, tantomento un assassino di gatti. 
Per quanto riguarda invece la prima e terza persona, a dire il vero, è stata una scelta stilistica per permettere una netta suddivisione dei due personaggi. La narrazione in terza persona, come hai giustamente fatto notare, distacca molto il personaggio dal lettore. Posso dirti soltanto che Lei non avrebbe mai potuto essere raccontata in terza persona. E' un personaggio molto più complicato e molto più emotivo di Lui. La terza persona non permette un'empatia totale e Lei meritava di avere una perfetta aderenza con il lettore.
In molti mi hanno fatto notare questo aspetto e ne sono stato molto felice, perchè vuol dire che la scelta è stata azzeccata. Al momento della scrittura, assegnare la prima e la terza persona a Lei e Lui è stato tutto molto naturale, senza forzature.

A: Ho letto che Londra la conosci molto bene perché hai vissuto lì alcuni anni. Nel libro la racconti come una città contraddittoria ma piena di opportunità. Un luogo che può farti emergere ma anche
inghiottirti per non risputarti più fuori. Ma Daniele che ricordo ha di Londra? Cosa ha rappresentato per te?

D: Ho vissuto sei anni in Spagna e, in totale uno e mezzo, a Londra,. Londra però ha rappresentato per me i cambiamenti più importanti. Ci ho vissuto in tre distinte occasioni: nel 2003, quando avevo 25 anni e l' emigrare non era ancora una necessita e una “moda”. Arrivai in una città molto diversa da quella che è oggi, dove gli italiani non erano molti e il lavoro disponibile non era tanto come oggi. Partii senza sapere una parola d'inglese e dormii su un pavimento per quasi un mese. Questo è l'unico aspetto autobiografico del romanzo, oltre alle lunghe passeggiate che i due protagonisti intraprendono nella città. Quel primo contatto con Londra ha davvero cambiato il mio modo di vedere il mondo. 
Ci sono tornato nel 2012, in un periodo molto difficile per me e infatti è durata poco. Poi ancora nel 2015, però questa volta con mia moglie, ed è stato molto bello. Gli ultimi mesi li abbiamo vissuti a Brighton e abbiamo un ricordo bellissimo di quei mesi, perchè Nikita è stata proprio concepita a là, motivo per il quale, poi, abbiamo deciso di tornare in Italia, nello specifico a Genova, essendo Marianna genovese.
Per concludere su Londra, posso dirti che più che una città, è un universo a parte. Madrid, che è la città più bella dove abbia vissuto, è Spagna al 100%. Ovunque si respira la necessità dei propri abitanti di reclamare la propria identità iberica, così come è lo stesso per i catalani a Barcellona. Londra è invece la città dove, se vuoi, puoi diventare chiunque, puoi tranquillamente vivere in totale anonimato o emergere in qualsiasi disciplina o lavoro. Non sto dicendo che sia una buona cosa o meno, dico solo che è così. Io non l'ho amata molto, forse ci ho vissuto troppo poco, ma ho cari amici che ci vivono da anni e, bene o male, la pensano come me. 
E' un posto che deve essere vissuto almeno una volta nella vita, e non solo da turista.

A: Qual è l’ora migliore per scrivere secondo te?

D: Dipende dalla musica che hai a disposizione e da quante pene hai da smaltire. Scherzo, ovviamente. Io ho scritto a tutte le ore, sempre, anche quando avevo a che fare con sceneggiature e articoli. Non credo ci sia un'ora perfetta per farlo, ma c'è bisogno di costanza e impegno. 
Ho sempre ritenuto che l' artista folle, quello che senza tecnica tira fuori il capolavoro, che sia pittura, scrittura o musica, non esista. Serve tecnica e soprattutto molta disciplina, altrimenti ci si ritrova a riempire quei cassetti di tanti progetti iniziati e mai finiti. Anche Kerouac e Bukowsky, due grandi geni, avevano un talento immenso che dovevano, per loro stessa ammissione, disciplinare affinchè i loro scritti vedessero la luce. Non mi sto paragonando nemmeno lontanamente a loro, sia chiaro, ma li porto ad esempio perchè ogni scrittore deve, appunto, avere regolarità e una forza di volontà enorme, altrimenti quello che ha dentro resta dentro.

A: C’era un’abitudine particolare durante la stesura del romanzo? Un rito a cui non potevi rinunciare, ad esempio?

D: La musica e la presenza di Einaudi. Prima di iniziare a battere sulla tastiera, dovevo prima ascoltare un pò del suo pianoforte. Non riuscivo altrimenti a buttare giù neanche una parola. Solitamente iniziavo ascoltando “Questa notte” e a volte “Divenire”. Insomma, l'importante era che ci fosse la sua musica ad accompagnarmi nella stesura.

A: Quante ore dedicavi alla stesura del romanzo? Leggo di scrittori emergenti che passano giornate intere a scrivere, persone che dicono di non poter conciliare l’attività di scrittore con il loro lavoro ufficiale. Tu come hai incastrato tutto?

D: Durante quel mese di prima stesura vi ho dedicato quasi tutto il tempo a disposizione. Tornavo dal lavoro alle 19, a volte alle 21 e continuavo quanto avevo lasciato la sera prima. Al tempo vivevo da solo e non avevo altre “distrazioni”, quindi potevo scrivere quando volevo. Diciamo che il massimo era tre ore al giorno, non di più. Oggi è più complicato, anche se la bambina è una complicazione meravigliosa. Mia moglie mi incita a scrivere e a trovare il tempo. Scrivere però necessita di molta concentrazione e di una routine ben definita e, com' è normale che sia, devo ancora trovarla.

A: Una curiosità od un aneddoto particolare legato al romanzo?

D: Direi il titolo. Avevo tentato più volte di inziare a scrivere questo benedetto romanzo, sempre con storie differenti e titoli un pò campati in aria. Il 6 agosto del 2014 invece mi sono svegliato e avevo “Manuale di fisica e buone maniere” stampato in mente. E' stata un'illuminazione. Ho iniziato a scrivere la sera stessa e, dopo un mese, avevo concluso la prima stesura.

A: Tu hai avuto la possibilità ed il merito di pubblicare con una Casa editrice: la David and Matthaus. Ti va di raccontarci il tuo percorso, le eventuali porte in faccia e come sei arrivato alla tua CE?

D: Il percorso è stato “asettico”. Mi spiego meglio. Non ho contattato subito la CE, ma un agente letterario, Andrea Carnevale dell' agenzia Edelweiss. E' stato subito entusiasta del romanzo e abbiamo firmato un contratto di rappresentanza. Mi ha accompagnato con estrema pazienza attraverso tutta la delicata fase di pubblicazione. Lui era certo che ce l'avremmo fatta, io un pò meno. Aveva ragione lui. 
Dopo l' editing, effettuato con molta cura proprio da Andrea, lo ha proposto a varie case editrici e la D&M ci ha risposto quasi immediatamente. E' stata una bella soddisfazione! Dopo la firma del contratto, il Manuale avrebbe dovuto essere pubblicato molto prima, ma, per le questioni familiari che ti ho raccontato prima, ha visto la luce con quasi un anno di ritardo.

A: Che cosa pensi del self publishing? Secondo te può essere una risorsa per gli aspiranti scrittori? E tu hai mai pensato di pubblicare come self?

D: Dipende. Di base non mi piace. Riconosco che molti capolavori della letteratura sono passati per il SP, ma erano anche altri tempi, soprattutto ad inizio secolo scorso. Oggi purtroppo il SP è una sorta di trappola per chi decide di voler pubblicare un romanzo che forse non vedrebbe mai la luce attraverso la normale filiera. Dico questo perchè, attraverso il giudizio del mercato, ci sono passato anche io. Come ti dicevo prima, il mio precedente romanzo venne rifiutato da tutte le case editrici alle quali lo mandai  e anche dagli agenti. Venni però contattato da un paio di editori a contributo che sembravano entusiasti del mio lavoro. Mi chiesero parecchi soldi ma, in quel momento non ne avevo, quindi la pubblicazione non avvenne. Non avevo ben chiaro come funzionasse il mondo del Self Publishing e ci soffrii molto per la mancata pubblicazione sia attraverso la naturale filiera che mediante il SP. Dopo qualche tempo, però, lo capii e mi ritenni fortunato di non aver avuto quel denaro a disposizione. Insomma, il mio lavoro era stato bocciato dal mercato, segno che era di pessima qualità. Con il Manuale ho intrapreso la strada opposta, mi sono cioè detto: “Se non verrà accettato da nessun editore, finirà nel cassetto senza rimpianti”. Forse qualche rimpianto l' avrei avuto ma, per fortuna, poi è andata bene. 
Oggi pubblicare senza contributo rappresenta quindi un esame di qualità dell'opera. Anche a causa del SP, il mercato è inondato, è più che saturo di romanzi e libri di qualsiasi genere e qualità, e, oggi come oggi, un romanzo per essere pubblicato non deve essere più solo “pubblicabile”, ma qualcosa in più, deve essere almeno ottimo, altrimenti un editore non investe a fondo perduto. Purtroppo molti “editori” oggi fanno gioco sulla voglia degli autori di vedersi pubblicati a tutti i costi, lucrando molte volte sui sogni delle persone, con discorsi del tipo “noi siamo fuori dalle logiche delle grandi case editrici però ti chiediamo 2000€” e questo è un danno per tutti.

A: Sono assolutamente d'accordo con te e, spesso, mi trovo a discutere di questo argomento con molti aspiranti scrittori che non fanno però il tuo ragionamento, cioè non vedono nel "giudizio del mercato", rappresentato dalle CE uno sprone ad analizzare meglio la propria opera e, magari rendersi conto che non è buona, o che, il più delle volte, è l'ennesimo clone di qualcosa di già letto. Molto spesso si trincerano dietro l'idea che le CE valutino solo ed esclusivamente certi Autori (magari già famosi) e non hanno intenzione di investire su quelli che loro (gli aspiranti) reputano capolavori.

A: Ultima domanda: stai lavorando già ad un nuovo romanzo? Personalmente spero di sì.

D: Altra bella domanda. Si, ci sto lavorando, però quest'ultimo anno e mezzo è stato davvero complicato, bellissimo, ma complicato e non ho avuto ancora la possibilità di mettermi a sedere con tutta la tranquillità necessaria per iniziare la stesura di quello che ho già in mente. Come per il Manuale, ho già in mente il titolo, il messaggio, la trama e il finale. Direi che il più è fatto, ora non resta che scriverlo.

A: Grazie Daniele e, allora,  alla prossima!

D: Grazie a te, davvero. Questa è la prima intervista che mi viene fatta ed è stato un onore e un piacere averla fatta per “Aspettando le Astronavi”. Un saluto a tutti i miei lettori, perchè è vero che senza di loro la scrittura sarebbe solo fine a se stessa. Grazie ancora e a presto!


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Vi saluto sulle note di "Questa notte" di Ludovico Einaudi e vi aspetto il mese prossimo per il terzo episodio in viaggio fra gli Autori emergenti.



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Commenti

  1. Bellissimo articolo, libro interessante... complimenti ancora per questa rubrica!!! *-*

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  2. Grazie mille! Leggere il Manuale è stata davvero una bellissima esperienza e scrivere questo pezzo è stato naturale e spontaneo come il Daniele Germani.

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